articoli su “crimeblog” dedicati a Davide e Fabrizio

Ottobre 31, 2014

Un grazie dal profondo del cuore a Daniela Bellu, giornalista x
http://www.crimeblog.it/categoria/storie-di-scomparse
Grazie per aver scritto sulle scomparse di Davide e Fabrizio, con la finalità di riaccendere i “riflettori” su di loro, considerando che in tutti questi anni troppe poche luci si sono accesse ad illumunare quei terribili sentieri umbri che, misteriosamente, tragicamente li hanno inghiottiti, per, sino ad oggi, mai restituirli alle loro mamme e a tutti coloro che da allora non smettono di aspettarli.
Sicuramente, Daniela, per la sua professione, rende, parlando di lororo, anche un servizio sociale alle decine di migliaia di famiglie che vivono tra color che son sospesi, nel buio e nell’impotenza dell’incognito, ma Grazie, in particolar modo alla sua deliziosa e delicata umanità.

Qusti gli articoli scritti da Daniela.

Scomparse: Davide Barbieri. La storia che raccontiamo nella nostra rubrica Storie di scomparse è quella di Davide Barbieri, scomparso da Orvieto il 27 luglio 2008.

È il 27 luglio 2008 quando Davide Barbieri, 27 anni, intorno alle 11.30 abbandona la Comunità Lahuèn di Orvieto e non lascia dietro di sé alcuna traccia. Da allora sono trascorsi più di sei anni e sua madre, Laura, non ha mai smesso di cercarlo e di aspettarlo.

La storia di Davide è una storia di grande dolore, ma anche di grande amore, quello che lega il giovane a sua madre, l’unico genitore che ha conosciuto e che lo ha cresciuto con dedizione e affetto. Ma è anche una storia di drammi che si abbattono su Davide: abbandonato dal padre ancora prima della sua nascita, poi vittima di un grave incidente a soli otto anni con conseguente coma di 15 giorni, e ancora problemi psicologici tali da renderlo sempre più fragile ed esposto ai pericoli della vita.
La personalità borderline di Davide, acuita dall’utilizzo di spinelli che in una psicologia come la sua non fanno che peggiorare la situazione, lo costringe a dieci anni di via crucis tra ospedali, cliniche e comunità di vario genere, con trasferimenti in varie città e regioni d’Italia.
Fino a quando, a luglio del 2008, Davide decide in accordo con sua madre e con i medici che lo avevano seguito fino a quel momento di entrare nella Comunità Lahuèn di Orvieto, un centro a doppia diagnosi, ovvero specializzato nella cura e riabilitazione dei disturbi di personalità accompagnati da dipendenze di qualsiasi genere e grado di sostanze.
Il progetto prevede che in un primo momento vengano vietati tutti i contatti con l’esterno, per favorire l’inserimento del paziente nella comunità: niente visite dei familiari, niente telefonate, niente cellulare, niente soldi. Davide è isolato dal mondo esterno e forse sente il peso di questo distacco. Ma sono solo ipotesi, perché mamma Laura non ha idea di cosa sia accaduto dopo aver lasciato il figlio in comunità, e anche le poche risposte avute alle sue insistenti domande sono sempre state vaghe e non esaustive
Davide esce da quella comunità, in cui era entrato solo 12 giorni prima, intorno alle 11.30 indossando solo un paio di calzoncini, una maglietta e degli infradito. Non ha denaro, non ha un cellulare, non ha documenti. Il cancello è aperto e nessuno lo ferma sul momento. Poi qualcuno della comunità, accortosi del suo allontanamento, lo segue con un’auto e gli chiede di tornare indietro. Il giovane oppone il suo rifiuto e loro lo lasciano andare. Davide continua a camminare, inoltrandosi nella campagna circostanze e facendo perdere le sue tracce.
Questo, almeno, è quello che viene raccontato a sua madre, con una telefonata, due ore dopo l’allontanamento di suo figlio.
A inizio settembre ricomincia Chi l’ha visto e in più puntate viene trattata la storia di Davide Barbieri. Le battute di ricerca nella zona della scomparsa, portate avanti da forze dell’ordine e volontari, non danno alcun risultato. Per la madre, in un certo senso, è un sollievo: nessun corpo viene rinvenuto nei luoghi della scomparsa. Ma allora dov’è Davide?
Nel corso di questi sei anni ci sono state numerose segnalazioni, che mamma Laura ha cercato di verificare tutte, come lei stessa ci ha raccontato, in alcuni casi escludendo che si trattasse di suo figlio, in altri restando con il dubbio. Ma anche il sospetto che in realtà Davide non sia mai uscito da quella comunità non la abbandona, un dubbio che però non ha delle prove concrete a fondamento che possano far riaprire il suo caso.

Davide Barbieri scomparso – l’intervista a mamma Laura

Permettimi di sottolineare, per iniziare, la prima assurdità di questo caso che salta agli occhi: Davide viene visto andare via, nelle sue condizioni, e non viene fermato…
Credo che in questa storia di mio figlio ci sia stata molta negligenza e superficialità da parte di chi si sarebbe dovuto occupare di lui in quel periodo. Io so solo quello che mi hanno riferito i responsabili della comunità, quando mi hanno chiamato due ore dopo il suo allontanamento, perché altri testimoni non ce ne sono: mi hanno detto che, quando si sono resi conto che era uscito, lo hanno seguito con la macchina e raggiunto, invitandolo a tornare indietro. Dopo un chilometro circa, in cui cercavano di convincerlo a seguirli, Davide sarebbe entrato in un allevamento di maiali che c’era nelle vicinanze, e loro non potendolo seguire a piedi avrebbero fatto marcia indietro. Mio figlio non li ha voluti seguire, dicendo che voleva tornare a Roma, a casa sua, e per loro andava bene così, erano certi che sarebbe tornato a casa. E questo anche se era senza soldi e senza documenti. Nei giorni seguenti, quando chiamavo in comunità per avere notizie, continuavano a ripetermi di non preoccuparmi, che prima o poi sarebbe tornato a casa. Quando ho chiesto spiegazioni su come era vestito, per la denuncia di scomparsa, mi sono sentita rispondere che non aveva importanza. Ho dovuto insistere anche per sapere come aveva fatto a uscire dalla comunità, e solo dopo le mie insistenze hanno ammesso che il cancello di ingresso quel giorno era rimasto aperto. Quando ho sottolineato il fatto che non dovevano lasciarlo andar via, mi è stato risposto che loro non possono usare misure coercitive per trattenere i pazienti, visto che il ricovero è su base volontaria. Ma Davide non stava bene. Non occorreva certo legarlo o dargli una mazzata in testa, bastava seguirlo, parlargli, convincerlo almeno ad aspettare il mio arrivo per riportarlo a casa. Oppure chiamare una pattuglia dei carabinieri o della polizia, spiegando l’accaduto, in modo che lo riportassero indietro loro. Tutto questo non è stato fatto. E la conseguenza è che dopo sei anni io non so dove è mio figlio.
Tu tra l’altro sei sempre tornata alla comunità, per gli anniversari della scomparsa di Davide. Ci sei tornata anche quest’anno…
Sì, e mi hanno lasciato dietro un cancello chiuso. La loro unica preoccupazione è di non rovinare la loro immagine, di non avere una cattiva pubblicità e quindi cercano sempre di tenermi alla larga. Alla negligenza e alla superficialità, quindi, aggiungiamo un’assoluta mancanza di umanità, se pensi che in sei anni non ho mai ricevuto una telefonata, nemmeno per chiedermi se stavo bene, se potevano fare qualcosa, se c’erano novità. Qualcuno ha anche sollevato il dubbio che Davide da quella comunità non sia in realtà mai uscito e io ho esposto le mie preoccupazioni al magistrato che seguiva il caso. Lui ha fatto tutto quello che poteva fare e purtroppo non aveva elementi sufficienti per mandare là dentro le ruspe. E io ovviamente non so davvero che fare, e mi devo tenere questo sospetto.
Credi che i problemi di Davide, anziché essere un motivo in più per doverlo cercare subito, siano in realtà stati una scusa per non cercarlo abbastanza?
Sì, in qualche modo sembra davvero così. È come se avessero pensato: tanto è un ragazzo problematico, lasciamolo andare. Non so se avrebbero agito allo stesso modo se fosse stato un loro figlio. Tra l’altro stiamo parlando di una struttura costosa, dove si pagavano allora 130 euro al giorno a paziente, e come minimo ti aspetti attenzione e interesse, cose che non ci sono state.
Quando vengono ritrovati dei corpi di scomparsi, come accaduto ora per Elena Ceste, quali sono i pensieri che assalgono una mamma in attesa di un figlio?
Sono tanti. Per quanto mi riguarda, ti posso dire che, forse anche per un meccanismo di autodifesa, io Davide lo sento vivo. Penso sempre che quando succede una disgrazia, quando c’è una morte, prima o poi il corpo si trova, come avvenuto ora con la Ceste. Il fatto di non averlo mai ritrovato, mi mantiene quindi il cuore forte nel dire c’è ancora, è da qualche parte, è spaesato. Forse ha perso la memoria, anche perché io per lui ero il suo universo e lui il mio, quindi sicuramente avrebbe chiesto a qualcuno di chiamarmi, e se non lo ha fatto penso che non lo può fare.
Dopo la scomparsa ci sono stati degli avvistamenti attendibili?
Ce ne sono state tante segnalazioni, non so quanto attendibili. Tante segnalazioni sono arrivate dalla zona di Bolzano e poi da Napoli, dove io sono stata per tre giorni con la troupe di Chi l’ha visto e dove
sono poi tornata più volte. Quelle segnalazioni alla fine riguardavano “tre Davide”: due li abbiamo individuati e quindi esclusi, uno è invece rimasto nel mistero e non siamo mai riusciti a trovarlo.
Quanto sarebbe importante avere un sostegno psicologico ma anche legale gratuito per le famiglie degli scomparsi?
Sarebbe importantissimo. Pensa che quando Davide è scomparso in tanti mi hanno detto che avrei dovuto denunciare penalmente la comunità però purtroppo in quel momento io da una parte ero sconvolta, dall’altra piena di speranza che mio figlio tornasse, e non l’ho fatto. Ora ci sono dieci anni di tempo per intentare una casa civile, ma anche se trovassi un avvocato di cuore che volesse seguirmi gratuitamente, ci sarebbero da pagare contributi unificati, spese, tasse che ammontano a migliaia di euro, spese che comunque non posso affrontare.
Cosa ti hanno lasciato questi sei anni di attesa?
Per carattere cerco sempre di far emergere il positivo che ho incontrato sulla mia strada, in un caso come il mio: dal magistrato che si è fatto in quattro, molto sensibile, che si è detto sempre disponibile a riaprire il fascicolo nel caso di anche piccole novità alle tante persone che mi hanno offerto il loro sostegno. Il lato negativo, che purtroppo vivono anche molte altre famiglie, è quello di essere trattati come casi di serie B, perché non abbastanza ‘caso mediatico’. Ce ne sono alcuni che vengono sviscerati in televisione sino allo sfinimento e altri assolutamente ignorati, sconosciuti, dimenticati. Tutti dovrebbero avere il loro spazio, la loro visibilità. In sei anni comunque sono stati fatti molti passi avanti: penso ai piani provinciali con le prefetture, ai protocolli di intesa, al commissario straordinario per le persone scomparse. Noi nel nostro piccolo, con l’Associazione Cercando Fabrizio e… cerchiamo di aiutare le persone che si trovano a vivere la tragedia di una scomparsa. E già questo ci fa sentire meno soli.

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Storie di scomparse, Fabrizio Catalano: i genitori alla Marcia Per la Pace Perugia Assisi 2014

Raccontiamo nella nostra nuova rubrica, Storie di scomparse, è quella di Fabrizio Catalano, scomparso da Assisi il 21 luglio 2005.

Si è svolta oggi, domenica 19 ottobre, la 51esima edizione della Marcia Per la Pace Perugia – Assisi. Come accade ormai dal 2005, i genitori di Fabrizio Catalano, il giovane di Collegno scomparso ad Assisi nel luglio dello stesso anno, hanno preso parte alla Marcia insieme a un gruppo di amici e sostenitori dell’Associazione Cercando Fabrizio e… con una duplice finalità: ricordare Fabrizio e gli oltre 29 mila scomparsi italiani e condividere i valori pacifisti che animano la manifestazione.
Caterina ed Ezio Catalano hanno marciato con le tantissime persone provenienti da tutta Italia già nel 2005, nel 2007, nel 2010 e nel 2011. La speranza è che la loro lotta contro l’indifferenza e l’oblio che vivono le famiglie vittime di una scomparsa possa trovare nuova spinta e nuove ragioni grazie alla Marcia.
Come ogni anno, i familiari e gli amici di Fabrizio hanno allestito un gazebo nei pressi della Basilica di Santa Maria degli Angeli, per dare voce a tutti i familiari delle persone scomparse, mostrando i cartelloni coi volti di figli, madri, padri, fratelli che non hanno ancora fatto ritorno a casa, distribuendo volantini e rispondendo alle domande delle tante persone che si sono fermate con loro.
La speranza, ovviamente, è anche che qualcuno, vedendo i volti di queste persone, possa dare un contributo alle ricerche, con segnalazioni e suggerimenti, cosa che è avvenuta anche oggi. E ogni volta mamma Caterina e papà Ezio si sentono rigenerati dall’affetto e dalla partecipazione di tante persone che marciando condividono con loro speranze e sogni.
Ricordiamo, infine, che l’ultima segnalazione attendibile arrivata ai genitori di Fabrizio è quella dello scorso 25 settembre, quando un autista di bus turistici è certo di aver incontrato un ragazzo a lui molto somigliante nei pressi della stazione Termini di Roma. Segnalazione, quest’ultima, che è nata dopo un passaggio televisivo della storia di Fabrizio a Storie Vere di Raiuno, a riprova del fatto che solo continuando a parlare degli scomparsi si possono aiutare le famiglie ad uscire dal buio e dall’oblio.

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